Primo anno di università, non avevo ancora vent’anni e il baretto scrauso di periferia offriva finalmente la possibilità a me ed ai miei amici di provincia la possibilità di dedicarci con amore al nostro hobby serale; prendere delle sbronze clamorose con i due spicci che avevamo.
Di ritorno da una serata brava in giorni non sospetti, era un martedì o un mercoledì, pedalavo per uno di quei quartieri da famigliola benestante dove, visto l’orario e il giorno infrasettimanale, non avevo ancora incrociato un’anima. Procedevo dunque spedito, sbronzo ma saldo sull’amata BMX e canticchiavo qualcosa. Supero un cavalcavia e forse complice la geometria ad onda della strada qualcosa mi si risveglia nello stomaco.
Nello stesso momento noto un tizio che procede in direzione contraria sul marciapiede che costeggia la carreggiata su cui andavo io.
Scambio di sguardi (d’altronde eravamo gli unici esseri umani svegli in tutto il quartiere), gli sfilo accanto e sbam! Gli vomito tutto il vomitabile precisamente addosso, con pure lo schiaffo dell’impatto dovuto alla velocità a cui stavo procedendo in bici.
Non so bene come sia potuto accadere, non so come mai mi sia venuto quell’impulso immediato in quella frazione di secondo, avrei potuto rigettare in qualsiasi altro istante e si, forse la scena avrebbe fatto un po’ schifo ma ci saremmo passati sopra, sia io che lui.
Non so neanche come abbia fatto a rimanere in bici dopo aver vomitato! Faccio altro 10-20 metri stupefatto dall’evento e mi fermo. Mi giro, lo vedo: era ricoperto, se ne stava fermo lì a braccia aperte tipo cristo redentore, voltato verso di me e la faccia di qualcuno che era ancora troppo stupefatto per reagire.
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