Era una mattina di marzo del 2005, avevo 15 anni e andavo in quarto ginnasio. Me ne stavo seduta all’ultimo banco e per fortuna da sola, perché la mia compagna di banco era assente quel giorno. Finita la ricreazione, alle 10:30 circa, cominciò la lezione d’italiano e con essa anche delle improvvise coliche che mi colpirono come un fulmine in una giornata soleggiata d’agosto. Paralizzata, iniziai a sudare freddo a causa dell’intensità delle fitte che percepivo all’addome. Fulminea, rapida come uno schiaffo, arrivò la scarica iniziale prima ancora che potessi chiedere di uscire. In quel periodo adolescenziale fatto di scarsa accettazione di sé e problemi di dispercezione corporea, ero solita nascondere le mie curve utilizzando dei pantaloni di marca UFO larghi e dalla forma a sacchetto di tessuto simile a quello, per l’appunto, dei sacchi in plastica. Per quanto a ripensarci mi domando davvero com’è che andassi in giro vestita da bidone ambulante, quella mattina mi salvarono in parte da quella che poteva benissimo essere una colossale figura di cacca. Sì, perché dopo la prima scarica, che fu veloce, inattesa e copiosamente abbondante, ne arrivarono delle altre che non riuscii ad arrestare e che non mi permetterono di alzarmi per andare al bagno.
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