Cercai di resistere per un po’ di tempo, ma la vescica cominciò a gonfiarsi a dismisura. Arrivato quasi allo stremo della sopportazione, mi feci coraggio e svegliai il caposquadriglia (che poi era un ragazzetto di 14/15 anni), spiegandogli il mio problema. Il caposquadriglia, tra il rinco***onito e l’assonnato, mi disse allora di avvicinarmi all’entrata della tenda, sollevare il lembo, tirare fuori l’arma e farla lì appena fuori della tenda – l’importante era operare veloce e non farsi vedere dagli altri, l’erba avrebbe occultato ogni cosa.

Mi sembrò una buona idea e mi preparai. Mi misi in ginocchio di fronte all’uscita, tirai fuori il bischero e, vista la pressione sesquipedale della vescica, calcolai che il getto sarebbe arrivato a parecchi metri di distanza, per il bene della tenda e della mia squadriglia.

Prima di farla chiesi al caposquadriglia: “E che succede se fuori c’è un cane?”. La risposta fu, in buon marchigiano: “Te lo mózzica!”. La battuta mi fece ridere, peraltro scombussolando l’equilibrio precario della vescica gonfia come un pallone aerostatico e rischiando di farmi urinare sul posto. Ma resistetti.

Eravamo dunque arrivati al momento-clou dell’operazione: io ero posizionato in perfetta postura di tiro, il lembo della tenda era sollevato, il giovanile era uscito fuori dall’hangar e si protraeva ardimentoso verso l’ignoto, la vescica era al massimo della potenza quando… dal buio della notte si palesò uno dei cani semi-selvatici che mi abbaiò