Tanto che ripetei il furto per i successivi 2 giorni.
10mila. Pezzi da 200 lire.
Double Dragon tutto il pomeriggio.
Il terzo giorno la proprietaria del bar ebbe un moto di senso civico e mi chiese: “Ma i tuoi genitori lo sanno che stai giocando tutti sti soldi a sto giochetto?”.
E io falso come una banconota da 3mila lire e ormai ebbro da ludopatia da picchiaduro risposi frettolosamente “sisì”.
Continuai a giocare. Finii i soldi.
Tornai a casa.
Il giorno successivo, domenica, pranzo con la famiglia riunita.
E mia nonna, Dio la benedica, trovò un modo per svergognarmi così delicato ed efficace da stroncare per sempre quella vena criminale.
“Qui al tavolo c’è qualcuno che dovrebbe dire che ci ha fatto con 30mila lire che erano nel mio portafoglio, vero G.? Li hai presi tu, vero?”.
Io diventai paonazzo e non potei rispondere altro che: “Ehm… sì, li ho trovato”.
Fui deriso durante il pranzo in modo delicato ma assertivo per quel gesto, dicendomi che bastava chiedere e non era necessario prenderli senza permesso.
Mi sentii una cacca.
Ovviamente la storia era che mia nonna aveva mangiato la foglia sin dal primo furto ma mi ha lasciato fare, per trovare la prima occasione di svergognamento utile per farmi desistere da ulteriori azioni di quel tipo.
Ah, le nonne.
Però oh, Double Dragon, che soddisfazione.
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